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Poscritto

Il testo proviene da Angelo Tasca: "Autopsia dello Stalinismo" , Edizioni di Comunità, Milano 1958. E’ stato tradotto dall’edizione francese "Autopsie du Stalinisme", Editions Pierre Horay, Paris 1957.

L’edizione di Angelo Tasca del discorso di Krusciov è interessante grazie alle note comprensibili. Le note ammontano a 30,900 parole rispetto alle 23,700 parole del discorso di Krusciov.

Le note inglesi sono contrassegnate "nota ing.". Le note sono scritte da Boris I.Nicolaevsky e Jon Bone su www.trussel.com/hf/stalnote.htm e www.uwm.edu/Course/448-343/index12.html.

Per favore notare la rubrica di Anatole Shub su www.trussel.com/hf/stalintr.htm.

Commento: Nota 32 descrive come Krusciov minimizzò il numero dei giustiziati – parla di 7.679 riabilitati, ma realmente furono giustiziati in 684.244.

La nota attesta inoltre che come segretario di partito Krusciov deve avere saputo la scala reale delle esecuzioni, perché scrisse in un telegramma indirizzato a Stalin nel 1937 che 6.500 + 2000 Kulak erano pronti per l’esecuzione a Mosca e dintorni.

Il tanto pianto Robert Eiche aveva anche occupato la posizione di segretario di partito e deve avere saputo delle esecuzioni di massa.

Tecnicamente: Convertito in OpenOffice e edizione curato in EditPlus. Lo spelling di "Eikhe" è stato cambiato in "Eiche" come nella traduzione tedesca. I sei titoli sono stati aggiunti da me.

Ringrazio Arbetarrörelsens Arkiv, Stockholm, www.arbarkiv.nu per l’aiuto dato a questo libro e Yanne Salomonsen per l’aiuto con la traduzione.

Ebbe Munk

Note

(1) Krusciov ritorna, nel corso del suo rapporto, sui "meriti" di Stalin e sulla sua "funzione positiva" nella lotta contro tutte le opposizioni (p. 96). Battendosi attivamente "contro i nemici della dottrina leninista e contro tutti coloro che se ne allontanavano" (p. 229), Stalin ha reso "grandi servigi al partito, alla classe operaia, al movimento internazionale" (p. 240). Un editoriale della Pravda del 28 marzo riprenderà alla lettera questa litania, aggiungendo che Stalin è stato "uno dei più forti marxisti". La risoluzione del Comitato centrale (30 giugno 56), che è una falsariga del rapporto, accentua l'elogio del defunto e ricorda che egli "lottò attivamente per tradurre in realtà gli insegnamenti di Lenin", perché "era fedele al marxismo-leninismo e, nella sua qualità di teorico e grande organizzatore, prese la direzione della lotta condotta dal partita contro i trotskisti" ecc. Tutto quello che, per più di trent'anni, è accaduto in U.R.S.S. sotto l'egida del "marxismo-leninismo" è accettato dai dirigenti dell'era post-staliniana, che si richiamano sempre allo stesso meccanismo "ideologico", alla stessa "linea generale".

(2) Questa lettera di Marx (Londra, 10 novembre 1877) è stata pubblicata dall'Istituto Marx-Engels-Lenin nell'originale tedesco (Marx-Engels, Briefe an A. Bebel W. Liebknecht, K. Kautsky und andere, Mosca, 1937, pp. 169-70). Wilhelm Blos, giornalista e storico a cui era indirizzata, ha avuto una certa parte nella socialdemocrazia tedesca; durante la detenzione di W. Liebknecht (1872-1874), fu uno dei due direttori del Volksstaat. In quel periodo W. Blos ebbe anche delle noie con la polizia.: Engels annuncia infatti che sarà presto rimesso in libertà e propone a Marx (in una lettera del 21 settembre 1874) di accettare la richiesta degli operai di Colonia, che avrebbero voluto affidare a W. Blos la direzione di un nuovo quotidiano, dal titolo glorioso di Neue Rheinische Zeitung. W. Blos, per molti anni membro del Reichstag, si porrà all'ala destra del partito, e sarà presidente del governo wurtemberghese per alcuni mesi dopo la rivoluzione tedesca del 1918.

(3) È noto che la "Lega dei Giusti", fondata da lavoratori tedeschi (quasi tutti artigiani) rifugiati a Parigi, era stata costretta a trasferire la sua sede a Londra, dopo le rivolte parigine del 12 maggio 1839, nelle quali si era compromessa. A Londra si era andata evolvendo verso un comunismo, la cui dottrina si avvicinava, nel corso degli anni 1846-47, a quella di Marx ed Engels. Adottando nuove forme di organizzazione, che tendevano all'azione pubblica, la "Lega dei Giusti", che aveva creduto di dover restare segreta, diverrà la "Lega dei Comunisti". Nel gennaio del 1847 uno degli elementi più solidi di questa lega, Joseph Moll, si reca a Bruxelles da Marx e poi a Parigi da Engels, per invitarli ad aderire alla lega, la cui evoluzione verrà accelerata e precisata grazie alla loro partecipazione attiva. Un breve racconto della visita e degli avvenimenti successivi è nell'introduzione di Engels allo scritto di Marx: Rivelazioni sul processo dei comunisti di Colonia. Fu a nome di questa lega che Marx ed Engels redassero il Manifesto comunista (vedi la prefazione degli autori al Manifesto stesso e l'introduzione storica di Charles Andler). La differenza tra la modestia di Marx e di Engels e l'autoesaltazione di Lassalle e, cento anni dopo, quella tra la modestia di Lenin e la vanità di Stalin, è sottolineata di nuovo in termini quasi identici nell'editoriale della Pravda del 28 marzo 1956 e nella risoluzione del Comitato centrale del 30 giugno.

(4) Nel sua rapporto generale al XX Congresso Krusciov ha adoperato questa stessa espressione, che riprenderà nel suo intervento "segreto" del 24 febbraio; egli afferma che "la funzione del nostro partito si è ancora dì più accentuata nella edificazione dello Stato" (resoconto ufficiale edito dai Cahiers du Communisme, Parigi, marzo 1956, p. 100); e la risoluzione del 30 giugno esalta "la funzione decisiva del partito marxista nella lotta rivoluzionaria per la trasformazione della società". In questa concezione del partito unico dirigente tutti i capi bolscevichi erano e sono rimasti d'accordo, da Lenin a Stalin ed ai post-staliniani, le correnti di "sinistra" come quelle di "destra". Lenin, verso la fine della sua vita, si è sì posto il problema di sapere come il partito unico avrebbe potuto costruire uno stato non burocratizzato e non "nemico del popolo", ma poiché restava legato alla concezione del monopolio del partito, gli espedienti che egli proponeva, come quello della ricostituzione del controllo operaio e contadino (Lenin, Oeuvres choisies, II, 1026-30) cozzavano contro una rete di contraddizioni e di impotenza. Un leader di "destra", Bukharin, ripeteva ancora nel novembre del 1927, la formula celebre: "Sotto la dittatura del proletariato, due, tre, quattro partiti possono esistere, ma ad una sola condizione: l'uno al potere, gli altri in galera". Appena nove mesi dopo, lo stesso Bukharin, che Stalin faceva già sorvegliare dalla Ghepeù, riassumeva in queste parole durante una conversazione con Kamenev la sua tragica e tardiva esperienza: "Il partito e lo stato si sono confusi, ecco dove sta la disgrazia".

(5) L'XI Congresso del partito (marzo-aprile 1922) fu l'ultimo nel quale Lenin, già minato dalla malattia, poté fare ancora una breve comparsa. Il Comitato centrale era allora formato di 27 membri effettivi e 17 supplenti. Lenin considerava il numero insufficiente e, nelle tre note scritte il dicembre dello stesso anno, suggeriva che il Comitato centrale venisse allargato "a un centinaio di persone", proponendo nel reclutamento 'alcune innovazioni, che avrebbero dovuto migliorarne il rendimento ed eliminare il pericolo di lotte interne troppo violente e pericolose. Illusione pura e semplice, come si vide in seguito. Il Comitato centrale contava già 86 membri (53 + 33) al XIII Congresso, il primo convocato dopo la morte di Lenin, e nel 1930 superava il centinaio proposto da Lenin (66 + 68) Si mantenne in seguito al disopra di questa cifra, fino ad arrivare ai 236 membri (125 + 111) del XIX Congresso dell'ottobre 1952, proprio nel momento in cui il Comitato centrale aveva già da un pezzo cessato di contare qualcosa. Di fatto Stalin utilizzò la riforma suggerita da Lenin per condurre a fondo la lotta contro i suoi avversari, allargando i quadri del Comitato centrale e modificandoli man mano e secondo le necessità della sua lotta accelerata per il potere.

(6) È il testo del post-scriptum del 4 gennaio 1923 aggiunto da Lenin alla sua nota dettata una decina di giorni prima; le due note formano ciò che viene chiamato il "Testamento" di Lenin (vedi, in appendice, alla pag. 247). Per la prima volta un dirigente sovietico ne cita un passaggio nella seduta plenaria di un congresso del partito, ma in un discorso che non è destinato alla pubblicazione. Il testo del "Testamento" sarà tuttavia distribuito ai delegati del XX Congresso e finalmente riprodotto in un numero della rivista teorica del partita, il Kommunist, uscito alla fine di giugno 1956, dopo dunque che il testo era stato ripubblicato nel New York Times del 19 maggio.

(7) Nadezhda Krupskaia aveva consegnato il 18 maggio 1924 a Kamenev una serie di note di Lenin, tra le quali c'era anche il "Testamento", perché fossero portate a conoscenza del Congresso del partito. In quel congresso; il XIII (23-31 maggio), Stalin, Segretario del partito da più di due anni, e i suoi alleati (soprattutto Zinoviev) - già impegnati nella lotta contro Trotsky - riuscirono ad evitare la lettura del documento davanti al plenum del congresso. Da allora questo testo fu soppresso dalla letteratura comunista ufficiale per trentatré anni. Si troverà il racconto dello stratagemma che permise alla maggioranza del Comitato centrale di evitare in quel congresso ogni discussione sulle ultime volontà di Lenin in un articolo di Est et Ouest (l'ex B.E.P.I.), n. 151, maggio 1956, p. 14. La quasi totalità dei membri dell'Ufficio politico e più della metà dei membri effettivi del Comitato centrale, che hanno voluto o tollerato, contro la volontà di Lenin, che Stalin mantenesse la segreteria, saranno da lui eliminati nelle "purghe" successive.

(8) Nadezhda Konstantinovna Krupskaia (1869-1939), moglie di Lenin, di cui divise la vita militante, aveva una pessima opinione di Stalin, che dal canto suo la detestava, e glielo dimostrò in più occasioni, come provano queste due lettere rimaste inedite fino a quando Krusciov le ha fatte conoscere col suo rapporto. Stalin non poteva perdonare a N. Krupskaia i suoi tentativi di far giungere al Comitato centrale del partito le note dettate da Lenin alla vigilia della morte, e in primo luogo il "Testamento", né altri giudizi di Lenin che ella ripeteva, come il seguente: "Volodia (Vladimir) mi diceva: "Egli (Stalin) manca dell'onestà elementare, tu capisci, dell'onestà più comune"". La Krupskaia si unì nel 1926, per un po' di tempo, all'opposizione (vedi Trotsky, Les crimes de Staline, Parigi, 1937, p. 118), ma Stalin non ci mise molto a toglierla di mezzo, costringendola a scrivere un atto di accusa contro Trotsky poco dopo il processo dell'agosto 1936, che terminò con sedici condanne a morte, tra cui quelle di Zinoviev e di Kamenev. L'articolo della Krupskaia (la quale tuttavia sembra abbia scritto a Stalin per sollecitare da lui la grazia per i condannati) è stato riprodotto con altri ancora più ignobili di Dimitrov, di Togliatti, ecc, in un opuscolo: Le complot contre la Révolution russe pubblicato nel 1937 (Bureau d'Edition, Parigi). La Krupskaia fu sottomessa, per il resto della sua vita, a un regime di libertà vigilata. I Ricordi su Lenin, apparsi in Russia nel 1926 e poi in Francia "sono stati rimaneggiati e redatti da una commissione speciale che non ha permesso alla vedova di Lenin di scrivere una sola riga liberamente". (Victor Serge, Destin d'une révolution, Parigi, 1937).

(9) Grigory Zinoviev e Leon Kamenev, nati nello stesso anno (1883), moriranno entrambi fucilati nel 1936. Zinoviev visse lungamente nell'emigrazione a fianco di Lenin, partecipò alle conferenze di Zimmerwald (settembre 1915) e di Kienthal (aprile 1916) e scrisse in Svizzera una parte degli articoli che, come quelli di Lenin dello stesso periodo, saranno raccolti più tardi nel volume Controcorrente, pubblicato in Russia all'inizio del 1918 e tradotto in francese dieci anni dopo. La sua attività ne fece senza discussione il presidente dell'Internazionale comunista fondata nel marzo 1919. Fu presidente del soviet di Pietrogrado, e fece di questa città la base della sua potenza politica. Lenin era ancora vivo, sebbene quasi in agonia, che già Zinoviev intrigava al XII Congresso (aprile 1923) per assicurarsene la successione (vedi L. Trotsky, Stalin, Milano, p. 500), ma un altro, ben più forte di lui su questo piano; aveva la stessa ambizione: Stalin. Un conflitto tra Zinoviev e Stalin si sarebbe prodotto ugualmente subito dopo la morte di Lenin (gennaio 1924), se l'uno e l'altro non avessero voluto prima sbarazzarsi del concorrente più qualificato alla successione e dunque più temibile: Trotsky. L'eliminazione di Trotsky, a cui aveva cooperato anche Bukharin, aperse la seconda fase della guerra fra gli epigoni, che terminò con l'estromissione di Zinoviev e di Kamenev, e più tardi con quella di Bukharin. Un testimonio, che lo conosceva bene, vide Zinoviev nelle carceri della Lubianka, poco prima dell'esecuzione, e ne ha tracciato il seguente ritratto: "In altri tempi forte e vigoroso, camminava ora nel corridoio trascinando una gamba, vestito di un pigiama azzurro e bianco, stravolto e devastato (W. Krivitsky, Agent de Staline, Parigi 1940).

Leon Kamenev non aveva, come Zinoviev, un temperamento di demagogo, era più serio e più colto. Dopo un periodo di emigrazione, dirige nel 1913 la frazione bolscevica della Duma; il regime zarista lo invia in prigione in Siberia, donde non ritornerà che dopo la caduta dell'autocrazia, nella primavera del 1917. In ottobre prende posizione con Zinoviev contro l'insurrezione voluta da Lenin e dalla maggioranza dei dirigenti bolscevichi (vedi più avanti, n. 15 [nota]), ma dopo la vittoria continua a far parte dell'Ufficio politico del partito; è delegato alle conferenze di pace di Brest-Litovsk, ed è più volte presidente del soviet di Mosca. Partecipa dapprima alla lotta contro Trotsky, ma poi fa blocco con lui nel 1926. Espulso dal partito come Zinoviev e tanti altri alla vigilia del XV Congresso (dicembre 1927), capitola e poco dopo viene riammesso, Stalin approfittò dell'ondata di repressione provocata da lui stesso e dalla sua polizia dopo l'assassinio di Kirov (vedi più avanti, n. 27 [nota]) per sbarazzarsi dei due vecchi "compagni di Lenin" . Zinoviev e Kamenev, come tanti altri, scivolarono sul pendio insaponato delle false accuse, delle false confessioni, delle formule "ideologiche" tante volte fabbricate, rinnegate, riprese, in un gioco infernale che li trascinava alla morte in una atroce condizione di demoralizzazione e di disperazione.

(10) Il XVII Congresso si svolse dal 26 gennaio a1 10 febbraio 1934, davanti a una massa di delegati che, accuratamente selezionati, scalpitavano di gioia davanti alle "autoflagellazioni" di alcuni oppositori ripescati. Bukharin, Rykov, Tomski, Zinoviev e Kamenev fanno, una volta di più, atto di contrizione, ma con i loro "discorsi ipocriti" non riescono ad altro che a "nauseare" i delegati presenti. "Il partito - precisa la Storia del Partito Comunista (b) dell'U.R.S.S. dove si trovano questi giudizi - non sapeva ancora, non poteva immaginare che, nel momento stesso in cui pronunciavano al congresso dei discorsi melliflui, quei signori preparavano lo scellerato assassinio di Kirov" (Edizione italiana, Napoli, 1944, p. 365).

(11) Quando Krusciov parla della "funzione positiva" avuta da Stalin (vedi n. 1 [nota]), pensa soprattutto alla lotta condotta con tutti i mezzi contro le opposizioni. L'articolo della Pravda del 28 marzo 1956 sottolinea che Stalin lottò attivamente con altri compagni "per il leninismo contro le deformazioni e i nemici della dottrina di Lenin...", trotskisti, zinovievisti, opportunisti di destra, nazionalisti borghesi, contro tutti coloro che volevano allontanate il partito dalla via leninista, la sola giusta"; allo stesso modo la risoluzione del Comitato centrale del 30 giugno fa l'elogio di Stalin, per aver egli "preso la direzione della lotta condotta dal partito" contro questi elementi. La lotta contro i trotskisti fu la prima e la più implacabile, e, nei suoi elementi essenziali, si era già conclusa sul finire del 1925; quella contro gli "zinovievisti", contro l'"opposizione di Leningrado", ebbe il suo punto culminante nel 1927; la lotta contro i "bukhariniani", contro la "destra" cominciò solo verso la fine del 1928 e continuò l'anno seguente. Queste ondate successive di "lotte" diverse, anche se conobbero successivi climi, si mescolarono spesso e non si fermarono più. Quanto ai "nazionalisti borghesi" (cioè i comunisti e i non comunisti partigiani dei diritti che la costituzione sovietica aveva garantito sulla carta alle popolazioni allogene), la caccia fu aperta fin dai principia, soprattutto in Ucraina e in Georgia, fu accanitamente proseguita per decenni e ancor oggi continua.

(12) È certo che a datare dal 1934, e precisamente dopo l'assassinio di Kirov, cominciò nel partito, su larga scala, "la pratica della repressione in massa", di cui il regime non aveva offerto prima di allora che qualche episodio limitato e localizzato. I membri del partito non erano all'inizio dati in mano al braccio secolare. Tuttavia, anche per il periodo antecedente al 1934, sarebbe arbitrario parlare di una semplice "lotta ideologica". Il terrore interno funzionava, in forme meno sbrigative, ma che si concludevano ugualmente con l'eliminazione fisica dei "colpevoli". Quando un oppositore veniva scoperto, era espulso dal partito, cacciato dal lavoro, isolato come una pecora rognosa che nessuno osava più avvicinare; i suoi familiari subivano quasi sempre la stessa sorte. L'oppositore spariva misteriosamente, arrestato o deportato, privato di ogni mezzo di sussistenza, in località remote della Siberia o dell'Asia centrale, e questa sedicente "lotta ideologica", dopo aver condannato l'eretico alla "morte civile", lo conduceva molto rapidamente alla morte pura e semplice. Non si deve inoltre dimenticare che al di fuori delle lotte che si svolgevano nei ranghi del partito, almeno una decina di milioni di contadini furono massacrati o deportati tra il 1929 e il 1934.

(13) Nel dramma di Ibsen la coalizione di passioni e di interessi che votano alla disfatta l'uomo isolato - il dottor Stockmann - gli lascia ancora la speranza di sopravvivere e di attuare il suo sogno, ma nella Russia comunista diviene una tecnica, grazie alla quale migliaia e centinaia di migliaia di persone possono essere "liquidate" come "nemici del popolo" in modo definitivo, non appena il meccanismo della repressione viene messo in moto.

(14) A proposito di questa nota inedita di Lenin, Boris Souvarine osserva: "Krusciov cita questa nota per far vedere il contrasto tra la pazienza pedagogica di Lenin e i procedimenti abominevoli di Stalin verso compagni "colpevoli di errori ". Ma lo stesso Krusciov imita Stalin trattando i trotskisti, zinovievisti, bukhariniani da "nemici del leninismo ", imputando a Stalin "la concezione del nemico del popolo" ben anteriore alla sua onnipotenza, e ammettendo implicitamente "la distruzione fisica degli individui per poco che esistano 'ragioni serie' di cui egli solo sarebbe giudice"". (Preuves, agosto 1956, p, 69).

(15) Alla riunione del Comitato centrale del Partito bolscevico che ebbe luogo a Pietrogrado il 10/23 ottobre del 1917, Lenin, rientrato clandestinamente da Viborg, pose il problema della rapida organizzazione dell'insurrezione. La sua proposta fu adottata con 10 voti favorevoli, contro quelle di Kamenev e di Zinoviev. Questi ultimi, il giorno dopo, indirizzarono una lettera circolare alle organizzazioni più importanti del partito per spiegare la ragione del loro voto. Nella riunione del 16/29 ottobre, a cui assistettero oltre ai membri del Comitato centrale, i delegati di altre organizzazioni del partito, la decisione precedente fu confermata e precisata. Zinoviev e Kamenev mantennero la loro opposizione, esigendo il giorno stesso là convocazione immediata, da farsi telegraficamente, di una assemblea plenaria del Comitato centrale; Kamenev indirizzò al C.C. una lettera di dimissioni. Il 18/31 ottobre Kamenev pubblicò a nome suo e di Zinoviev un articolo sul giornale di Gorki, il Novaya Gizn, nel quale spiegava che un'insurrezione sarebbe stata un grave errore. Lenin reagì violentemente contro un tale atteggiamento, scrivendo lo stesso giorno: "Tempi difficili. Pesante compito. Grave tradimento. Il problema sarà tuttavia risolto, gli operai serreranno i ranghi, la sollevazione contadina e l'estrema impazienza dei soldati faranno la loro opera!".

Lenin, in una lettera del 19 ottobre (10 novembre), propose di espellere Zinoviev e Kamenev dal partito. La rapida marcia degli avvenimenti e la vittoria del 25 ottobre (7 novembre) fecero superare questa crisi, e i "colpevoli" furono mantenuti nel Comitato centrale, e anche nell'Ufficio politico, la cui creazione era stata decisa il 10/23 ottobre (vedi per questo conflitto gli articoli di Lenin e i documenti pubblicati nel volume XXI delle Oeuvres complètes de Lénine, pp. 398431 e 575-87, Parigi, 1930; e anche Boris Souvarine (Staline, pp. 166-67). Nel suo "testamento" Lenin ricorda I'"episodio di ottobre di Zinoviev e di Kamenev" (vedi p. 249).

(16) L'espulsione di Zinoviev e di Kamenev dal partito (vedi n. 15 [nota]) fu proposta da Lenin soprattutto per aver "denunciato a Rodzianko e a Kerenski la decisione del C.C. del partito per l'insurrezione armata", per aver loro "venduto la notizia", assumendosi la parte di "sabotatori dello sciopero" (Lenin, Oeuvres complètes, t. XXI, pp. 427-31). Rodzianko ebbe una parte importante nella crisi del febbraio 1918, reclamando l'abdicazione dello Zar e praticamente pronunciandosi per la repubblica, dal momento che rimetteva la scelta del nuovo regime a una assemblea costituente. L'altra bestia nera di Lenin era Kerenski, che, divenuto capo del Governo provvisorio, represse ai primi di luglio il colpo di mano tentato dai bolscevichi a Pietrogrado. Lenin dovette rifugiarsi in Finlandia per sfuggire all'arresto.

(17) La "Storia del P.C. (b) dell'U.R.S.S. intitola così l'ultimo paragrafo del sua undicesimo capitolo: "I bukhariniani degenerano in politicanti a doppia faccia; i trotskisti degenerano in una banda di guardie bianche, assassini e spie". Come Boris Souvarine ha già fatto notare (vedi n. 14 [nota]); Krusciov partecipa ancora oggi dello stesso spirito che pervade dal principio alla fine la Bibbia staliniana, affermando che la "linea politica" dell'opposizione "conduceva di fatto alla restaurazione del capitalismo e alla capitolazione davanti alla borghesia mondiale". A questo livello la condanna "ideologica" si identificava necessariamente con l'eliminazione fisica.

(18) Il Partito socialista rivoluzionario russo fu fondato nel 1902 da elementi dell'emigrazione: il suo programma si ispirava a un socialismo molto moderato, ma i suoi metodi di azione - e soprattutto quelli della sua "organizzazione di combattimento" - implicavano l'impiego del terrorismo, prolungando così con questo doppia carattere la tradizione del movimento "populista" (narodniki). I socialisti rivoluzionari (S.R.), che erano stati nemici implacabili dell'autocrazia zarista, si scontrarono molto presto coi bolscevichi, contro i quali pensavano di poter condurre la stessa lotta che avevano condotto contro lo zar. Maria Spirodonova, uno dei leaders S.R. di sinistra, proclamò al V Congresso dei Soviet, ai primi di luglio del 1918: "lo mi servirò di nuovo del revolver e della bomba come ho fatto nel passato". La Costituente fu sciolta il 5 gennaio 1918 da un gruppo di soldati del partito bolscevico, lo stesso giorno della sua apertura, dopo le elezioni che avevano assicurato una larga maggioranza alle liste S.R., disponendo questo partito di una influenza preponderante tra i contadini. Questo atto arbitrario, che fu il ;primo di una inespiabile guerra civile, aprì un abisso tra i bolscevichi e l'ala moderata degli S.R. Gli arresti tra questi ultimi cominciarono a datare dal gennaio 1918 alla vigilia della manifestazione che essi avevano organizzato in onore dell'Assemblea costituente. La lotta degli S.R sulla base della costituente finì tragicamente, soprattutto per gli S.R. della corrente di centro, che parteciparono al governo dissidente creato a Samara; Kolciak, impadronitosi alla fine del potere in questa regione, disperse gli ultimi sopravvissuti dell'assemblea e ne fece uccidere parecchi.

Gli S.R, di sinistra abbandonarono la parola d'ordine della costituente e, per un breve periodo, accettarono tre posti al Consiglio dei commissari del popolo. La rottura si produsse a causa della pace "vergognosa" dei bolscevichi con la Germania. Gli abboccamenti di Brest-Litovsk avevano sollevato una forte opposizione anche nei ranghi bolscevichi, opposizione che solo l'autorità di Lenin riuscì a fatica a vincere. Gli S.R. di sinistra lasciarono tosto il governo di ottobre e a cominciare da quel momento si svolse da una parte e dall'altra una lotta spietata. I tentativi insurrezionali degli S.R., come quello di Boris Savinkov a Jaroslav, il loro colpo di mano a Mosca ai primi di luglio, che i bolscevichi riuscirono a stroncare in due giorni, la serie degli attentati individuali, contro l'ambasciatore tedesco Mirbach (6 luglio), nella speranza di provocare la ripresa della guerra contro la Germania, contro Lenin, gravemente ferito il 30 agosto e il giorno seguente contro Uritsky, capo della Ceka di Pietrogrado, ecc. furono il pretesto per un terrore di massa, applicato dalla fine dell'estate. Lo strumento era pronto, perché Lenin aveva creato la Ceka il 20 dicembre dell'anno precedente, affidandone la direzione a Dzerginski. Il nuovo governo si trovava in una situazione militare difficilissima a causa della costituzione di formazioni "bianche" in Siberia, nel bacino del Volga e in quello del Donetz; in Ucraina, la Rada aveva approfittato dell'avanzata dei Tedeschi, che esigevano l'applicazione rigida degli accordi di Brest-Litovsk. La situazione economica era spaventosa; la carestia e il tifo aggravarono le conseguenze, in se stesse catastrofiche, del "comunismo di guerra". Gli S.R. furono colpiti senza pietà (vedi su questo argomento la raccolta dei rapporti riuniti da Victor Cernov e pubblicati in Tchéka, Parigi, 1922). Krusciov fa allusione anche alle rivolte contadine che si moltiplicarono nel 1918, ma esse non si limitarono ai "Kulaki", come egli afferma. Infatti il malcontento nelle campagne era profondo ed era provocato da cause analoghe a quelle che forzarono Lenin (e anche Trotsky) a operate agli inizi del 1921 la grande svolta della N.E.P.

(19) I crimini della "banda Beria" sarebbero stati smascherati sola dopo la morte di Stalin e quando i dirigenti attuali poterono mettere le mani negli archivi della polizia. È una tesi completamente falsa. I delitti di cui è seminata la strada di tutti i capi della polizia (Menginski, Iagoda, Iezov, Beria) sono stati voluti, tollerati e approvati da Stalin, che è stato il grande capo della "banda di Beria". Benché con non uguali responsabilità, tutti i dirigenti sovietici sono stati legati al sistema e alle istituzioni che hanno reso possibili questi delitti: tutti erano, grosso modo, al corrente di quel che succedeva e ne sono stati i complici. Laurenti Beria cominciò molto presto la sua carriera come "cekista", facendo il suo apprendistato in tutto il Caucaso e specialmente in Georgia, così come Krusciov in Ucraina. Chiamato da Stalin a Mosca, verso la fine del 1938 egli succede a Iezov, silurato e sparito, la cui Iezovchina si era abbattuta su milioni di persone, in gran parte assolutamente innocenti; per cui Beria appare come un moderatore. La sua carriera nel partito segue press'a poco la stessa curva di quella di Krusciov, di cinque anni più vecchio di lui. Al XVIII Congresso del Partito comunista (marzo 1939) l'uno e l'altro pronunciano discorsi ultrastaliniani; Krusciov garantisce che i comunisti ucraini, di cui ha sensibilmente sfoltito i ranghi, "sono uniti come non mai attorno al Comitato centrale staliniano del partito e al loro Capo, il grande Stalin", Alla fine del suo discorso egli grida in lingua ucraina: "Viva il nostro caro Stalin", e questo grido, riferisce il resoconto del congresso "è ripetuto in molte decine di lingue da tutti i delegati"; alla fine del congresso Krusciov, che è da più di un anno membro supplente dell'Ufficio politico, viene promosso membro effettivo. Anche Beria ha bruciato al congresso la sua parte di incenso a Stalin: "Il partito dei bolscevichi, tutti i lavoratori del nostro partito, a giusto titola e con fierezza chiamano tutte le nostre vittorie, vittorie staliniane". Egli entra, alla fine del congresso, nell'Ufficio politico come "candidato". Nel marzo 1939 Beria si trova dunque ancora uno scalino più giù di Krusciov. Ma egli lavora a stretto contatto con Stalin al Commissariato dell'Interno, e la guerra mondiale gli permette di bruciare le tappe e di salire più rapidamente. Egli è il grande specialista del "fronte interno", sia contro i soldati che tentano la fuga che contro la popolazione. In riconoscimento dei servigi resi, nel luglio 1945 è nominato maresciallo. Pochi uomini in altri paesi e in altri regimi hanno concentrato nelle loro mani una tale potenza reale; tutto subisce il controllo più o meno diretto dei suoi uffici: la popolazione, l'esercito, l'economia nazionale, la diplomazia, i servizi di informazione all'estero, i trasporti, la macchina dello stato; la sua ombra si stende sulle fabbriche, sulle prigioni, sui campi di concentramento, ed egli decide la sorte di decine di milioni di uomini (un quadro succinto, ma preciso, sull'estensione dei suoi poteri è fornito nel 1953 dal B.E.I.P.E., n. 93, p. 12-13). La morte di Stalin e la lotta tra gli epigoni per la successione incrinano il sistema, quale si era formato ormai da molto tempo: il conflitto che sorge e si aggrava assume la forma di una lotta tra i dirigenti che si sono impossessati del partita e Beria, che è rimasto il capo temuto della polizia. L'alleanza di tutti gli altri dirigenti si conclude con la liquidazione di Beria, qualche mese dopo la morte di Stalin: nel luglio egli viene espulso dal partito e dal governo, condannato a morte e immediatamente giustiziato. Il suo processo si svolge a porte chiuse dal 18 al 25 dicembre 1953, cioè quasi sei mesi dopo la sua morte. Evidentemente si avrà buon gioco ad attribuirgli non solo i crimini da lui realmente compiuti con la complicità di tutti gli altri, ma anche le difficoltà e gli insuccessi del regime nel corso degli ultimi anni, il cattivo stata della produzione agricola, la resistenza dei colcosiani nelle campagne, i contrasti nei rapporti tra le repubbliche "federate" e la stessa rottura con Tito. A datare dalla seconda metà del 1953, un numera considerevole di dirigenti e di funzionari di Beria nei quadri della polizia e nei governi "federali-repubblicani" sono stati giustiziati con provvedimento amministrativo (vedi n. 78 [nota]).

(20) Quando nel marzo 1921 viene convocata il X Congresso, una discussione sulla funzione dei sindacati sta agitando da vari - mesi il partito. Trotsky, che proponeva l'integrazione dei sindacati nell'apparato economico della stato e la loro mobilitazione, la loro "militarizzazione" in vista di questo compito, si scontra con l'opposizione ferma di Lenin. Altre tendenze si differenziano in seno al partito, elaborano la loro "piattaforma", si moltiplicano. La più importante è l'Opposizione operaia, violentemente ostile a ogni burocratismo, che vorrebbe affidare ai sindacati la direzione della produzione. Lenin la taccia di "anarco-sindacalista" e redige per il congresso una risoluzione specialmente diretta contro di essa. Lo stesso congresso condanna anche il gruppo detto del Centralismo democratico, che si preoccupa del regime interno del partita e vorrebbe ricorrere alla panacea della "direzione collegiale" anche per gli organismi economici. Questa proliferazione, questa febbre di tendenze hanno, come ragione di fondo, la crisi sociale e politica delle masse contadine, ridotte in condizioni terribili e ormai allo stremo, che trova la sua più grave espressione nella rivolta di Kronstadt, scoppiata alla vigilia del congresso e che Trotsky è incaricato di stroncare. La risoluzione redatta da Lenin "Sull'unità del partito" nota che indizi di attività frazionistica si sono rivelati soprattutto tra i partigiani dell'Opposizione operaia a Mosca, a Kharkov e altrove; essa conclude: "Il Congresso dichiara sciolti e ordina di sciogliere immediatamente tutti i gruppi senza eccezione che si sono costituiti sulla base di questa o quella piattaforma. La non esecuzione di questa decisione del congresso deve trascinare con sé l'espulsione certa e immediata dal partito". Nello stesso tempo il congresso "dà pieni poteri al Comitato centrale per applicare... tutte le sanzioni fino all'espulsione dal partito". Il C.C. può così decidere la retrocessione dei suoi membri a membri supplenti e, se riunito in seduta plenaria, applicare come provvedimento estremo l'espulsione dal partito, senza aspettare la convocazione del congresso. La risoluzione "Sulla deviazione anarco-sindacalista" mette in chiaro: "Solo il partito politico della classe operaia, cioè il Partito comunista, è in grado di organizzare l'avanguardia del proletariato e, per mezzo di essa, dirigere tutte le masse lavoratrici. Altrimenti, la dittatura del proletariato è impossibile". La conclusione è la stessa: le idee dell'Opposizione operaia sono false e la loro propaganda "è incompatibile con l'appartenenza al partito" (testo delle due risoluzioni in Lenin, Oeuvres choisies, II, pp. 825-832, Edizioni in lingue straniere, Mosca, 1947).

Effettivamente la maggioranza del C.C. dà immediato inizio alla lotta contro queste opposizioni, soprattutto a Mosca, ed invia in missione i suoi uomini specializzati in imprese del genere: Molotov in Ucraina, Ordzonikidze a Baku, L. Kaganovic in Asia centrale (Storia del P.C. (b) dell'U.R.S.S., p. 285). Ma poiché il congresso, ha dato i pieni poteri al Comitato centrale, bisogna assicurarsi nel suo seno una solida maggioranza: per facilitare le operazioni il numero dei membri viene aumentato, da 19 a 25 i membri effettivi, da 12 a 15 i supplenti. I tre segretari nominati nel congresso precedente (IX, 1920), Krestinski, Preobragenski, Serebriakov, sono eliminati dal Comitato centrale e sostituti alla segreteria con elementi di tutto riposo, sotto la direzione di Molotov, promosso membro effettivo del C.C. insieme con Yaroslavsky.

Così la democrazia interna del partito non solo è compromessa con provvedimenti amministrativi; essa è spezzata, distrutta dallo spirito stesso che detta a Lenin le sue due risoluzioni: l'attività dei dissidenti "inevitabilmente" rafforza i nemici, permettendo loro di portare avanti la divisione "con intenti controrivoluzionari" (p. 825), perché, non appena si lasci un po' correre sul principia dell'unità, le esitazioni della massa piccolo borghese e semiproletaria "in pratica favoriscono i nemici di classe" (p. 832). Se la dittatura del partito e del suo nucleo dirigente é il bene assoluto, tutto ciò che può minare questa dittatura diviene il male assoluto. Si è allora in condizione di provare che i dissidenti sono in pratica inevitabilmente traditori, criminali: che sono dapprima obiettivamente, e poi coscientemente colpevoli. L'ingranaggio dei massacri negli anni 1936-1938 è messo in moto da questa "ideologia".

(21) A datare dal 1917 (VI) e fino al 1925 (XIV) i congressi del partito si sono svolti tutti gli anni; in seguito gli intervalli crescono: il XV viene riunito dopo due anni di preparazione (1927), il XVI dopo due anni e mezzo (1930), il XVII dopo tre anni e mezzo (inizio del 1934). Il XVIII, l'ultimo prima della seconda guerra mondiale, ebbe una preparazione di cinque anni (marzo 1939). Infine passano quasi quattordici anni prima che Stalin si decida a convocare il XIX Congresso del partito, nell'ottobre del 1952, quando la guerra è ormai finita da più di sette anni. Va notato che i congressi dell'Internazionale comunista seguono lo stesso ritmo. All'inizio si tengono tutti gli anni, dal I al IV (1919-1922); si decide in seguito di portare la loro periodicità a due anni, ma tra il V Congresso (estate del 1924) e il VI (estate del 1928) passano quattro anni, e sette anni tra il VI e il VII (estate del 1935). Lo scioglimento del Komintern, deciso da Stalin nel maggio del 1943; avvenne senza che nessun nuovo congresso venisse convocato.

(22) La risoluzione del C.C. del 30 giugno 1956 indica che "le sessioni plenarie del Comitato centrale e i congressi del partito non furono più tenuti regolarmente; in seguito, per molti anni, non furono convocati affatto". Le fonti ufficiali parlano di una sessione plenaria del C.C. convocata durante la guerra, il 27 gennaio 1944, ma secondo Boris Nikolaievsky la riunione, per quanta annunciata, non avrebbe avuto luogo (vedi la sua nota all'edizione del rapporto Krusciov, pubblicata a cura del New Leader, New-York, 1956, p. 10).

(23) Non solo "numerosi attivisti non sono mai stati spie, né sabotatori", nonostante che come tali si sia preteso di condannarli, ma, in realtà, nessuno dei membri del partito, leader o militante di base, arrestati fra il 1935 e il 1938, fu sottoposto a giudizio. Furono semplicemente - talvolta dopo una parodia di giudizio - assassinati per via amministrativa. Numerosi registi dei processi subirono la stessa sorte delle loro vittime, come per esempio il procuratore Krylenko; ma il più ignobile di tutti, Vyscinski, è morto nel suo letto nel 1954. I resoconti dei tre processi pubblici di quel periodo sono stati pubblicati a cura del "Commissariato del popolo della Giustizia dell'U.R.S.S." in molte lingue. I testi ufficiali in francese furono pubblicati a Mosca col titolo "Processo del centro terrorista trotskista-zinovievista, nel 1936; Processo del centro antisovietico trotskista, nel 1937; Processo del Blocco antisovietico della destra e dei trotskisti, nel 1938. Il primo dei tre grandi processi, quello "dei sedici" si svolge nell'agosto 1936: vi periscono, tra gli altri, Zinoviev e Kamenev. Nel secondo, detta processo "dei diciassette" svoltosi nel gennaio 1937, la condanna a morte colpì Piatakov, Serebriakov ecc. con l'imputazione di "alto tradimento, spionaggio, diversione, sabotaggio e atti terroristici"; Radek e Sokolnikov se la cavarono, per il momento, con dieci anni di prigione. Questo processo aveva soprattutto lo scopo di compromettere e liquidare politicamente Trotsky. Il verdetto colpisce in contumacia i "nemici del popolo" Trotsky e suo figlio Sedov, espulsi dall'U.R.S.S. nel 1929 e privati della nazionalità sovietica nel 1932. Essi se la cavano a buon mercato perché, dice il verdetto, "se vengono scoperti sul territorio dell'U.R.S.S., saranno immediatamente arrestati e deferiti al Tribunale militare supremo" (pp. 603-4). Trotsky non tornerà più nell'U.R.S.S. e sfuggirà perciò alla condanna a morte, ma Stalin troverà modo di farlo assassinare dai suoi sicari, nel Messico, nel 1940. Il terzo processo, dei "ventuno" vedrà la condanna a morte dei "destristi" Bukharin e Rykov. Tomski, l'ex capo dei sindacati, si era sottratto al processo col suicidio. Tra i "trotskisti" Krestinski fu fucilato e l'ex ambasciatore a Parigi, Rakovsky, condannato a vent'anni di prigione. Tra i fucilati appare l'ex capo della Ghepeù, Iagoda. Nel giugno 1937 Stalin manda al plotone di esecuzione Tukhacevsky e numerosi generali, ma senza processo pubblico e probabilmente senza processa alcuno (vedi n. 59 [nota]).

(24) Sarà impossibile calcolare con esattezza il numero delle vittime delle "epurazioni" nel periodo 1935-1938, fino a quando gli archivi sovietici non potranno essere consultati da altri storici oltre a Krusciov. Ma le cifre alle quali si può arrivare con una certa approssimazione sono spaventose: per i soli anni 1937-1938 A. Weissberg, che fu nel 1937 vittima della grande purga scatenata da Stalin e sopravvisse per miracolo, calcola che vi siano stati circa 7 milioni di arresti, senza tener conto dei criminali comuni (vedi A. Weissberg, L'accusé, Parigi, 1953, e cfr. B.E.I.P.I, n. 93, luglio 1953, pp. 13-16). Le induzioni e i confronti fatti da altri testimoni o da altri storici conducono a conclusioni simili. Una testimonianza indiscutibile sul numero delle persone massacrate durante la grande purga e a causa dì essa ci è stata fornita in un discorso pronunciato il 6 agosto 1951 da Mosa Pijade, che è ancora oggi uno dei pilastri dei partito comunista e dello stato jugoslavi: "Nel 1936-37 e nel 1938 - ha detto - più di tre milioni di persone sono state uccise nell'Unione Sovietica. Costoro non appartenevano alla borghesia, liquidata da molto tempo. Erano comunisti russi o originari di altre repubbliche dell'Unione Sovietica. Tutti quelli che rifiutavano di inchinarsi a Stalin furono massacrati sotto l'accusa di essere spie e o fascisti e agenti di Hitler. E quando Stalin si fu sbarazzato di loro, firmò un patto con Hitler" (vedi Dedijer, Tito parle..., Parigi 1953, p. 119).

(25) L'affermazione che Stalin aveva sempre tenuta conto dell'opinione della collettività anteriormente al XVII Congresso, cioè prima del 1934, è una menzogna flagrante. Stalin non ha mai sondato le resistenze eventuali dell'opinione, se non per sbarazzarsene, e questo fin dai suoi primi passi della marcia al potere. La lotta contro le opposizioni, delle quali Krusciov esalta la "totale distruzione" (vedi n. 11 [nota], 12 [nota] e 17 [nota]), è stata precisamente il terreno su cui il regime ha definitivamente fissato i suoi caratteri: la differenza tra le due epoche (prima e dopo il 1934) è stata di quantità, non di qualità. Il metodo del terrore, delle false confessioni, delle pressioni morali e fisiche sugli arrestati, delle mescolanze di vero e di falso miranti a screditare e a compromettere gli accusati, si ritrovano già nei processi antecedenti al 1934, destinati a creare una diversione alle difficoltà e agli insuccessi del regime e a trovar in qualunque modo dei responsabili. Tutti questi processi contengono già gli elementi di quella "stregoneria" di cui parlerà Fritz Adler per i processi della "grande purga". È il caso del processo di Chakhti del 1928, contro í "sabotatori" delle miniere del bacino del Donetz, a proposito del quale il plenum del Comitato centrale votava una risoluzione "sullo sviluppo della critica, dell'autocritica e della democrazia interna del partito" (E. Yaroslavsky, Histoire du P.C. (b) dell'U.R.S.S., Parigi, 1931, p. 490); del processo contro il sedicente "Partito industriale" della fine del 1930, il cui testo stenografico è stato pubblicato anche in Francia a spese di Mosca (Le Procès des Industriels, Parigi, 1931), e del processo del marzo 1931 contro i menscevichi (F. Adler, R. Abramovitch, Léon Blum, E. Vandervelde, Le procès de Moscou et l'Internationale Communiste, Bruxelles, 1932).

Sul regime giudiziario Victor Serge, che l'ha ben conosciuto prima che i suoi amici riuscissero a strapparlo alla prigione e alla Russia, ricorda che "fino al 1934 là Ghepeù applicava largamente la pena di morte pronunciata da commissioni segrete su rapporto dei giudici istruttori, senza ascoltare l'accusato", e senza che la difesa fosse mai ammessa agli affari politici (Destin d'une Révolution, Russie 1917-1936, Parigi, 1937, pp. 75-76).

(26) Nella seduta del Comitato centrale del 10/23 ottobre 1917, Dzerginski aveva proposto di "creare per la direzione politica, nel più breve periodo possibile, un Ufficio politico formato da membri del C.C." (verbale della seduta in Lénine, Oeuvres Complètes, Parigi, 1930 t. XXI, pp. 573-4). Sette persone furono designate: Lenin, Trotsky, Stalin, Zinoviev, Kamenev, Sokolnikov, Bubnov, cinque delle quali moriranno per mano dì Stalin. L'Ufficio politico, che gli statuti del partito non avevano previsto, creato in vista dell'insurrezione imminente, resterà l'organo dirigente del partito e dello stato per tutto il periodo seguente. Ridotta prima a cinque membri, si porterà poi il numero a sette, a nove, a undici (con una riserva di membri supplenti) e si rafforzerà la sua struttura con un Ufficio organizzativo e una segreteria, nella quale verrà presto a concentrarsi il potere reale, affidato in tal modo a Stalin. La vecchia predizione di Trotsky: "L'organizzazione del partito si sostituisce al partito, il Comitato centrale si sostituisce all'organizzazione, e infine il dittatore si sostituisce al Comitato centrale" (nell'opuscolo Nos tâches politiques, Ginevra, 1904), che ricorda i timori di Rosa Luxemburg all'inizio della rivoluzione russa, si è avverata in piena con l'avvento di Stalin. L'evoluzione era implicita nel regime, quale l'aveva concepito lo stesso Lenin (vedi l'opera magistrale di Boris Souvarine, Staline, Parigi, 1940). Nel suo incontro del luglio 1928 con Kamenev; Bukharin racconta di aver insultato Stalin dicendogli: "Non credere che l'Ufficio politico sia un organo consultivo per il segretario generale". Dieci anni dopo Stalin lo fa fucilare, e l'Ufficio politico cessa di esistere come organo di decisione, almeno fino alla crisi del marzo 1953.

(27) Serghiei Kirov era un bolscevico gallonato, militante dal 1904, che, a datare dalla rivoluzione del 1917, per molti anni, aveva avuto una parte di primo piano nel Caucaso e nell'Azerbaigian. Membro effettivo del Comitato centrale dal 1922, Stalin l'aveva fatto entrare nell'infornata dei supplenti dell'Ufficio politico nominati al XV Congresso (dicembre 1927). Kirov fu uno dei più accaniti nella lotta contro le opposizioni, che condusse soprattutto come segretario dell'organizzazione del partito a Leningrado, dal 1926 al 1934. Aveva cominciato coll'essere inviato dal XIV Congresso a Leningrado alla testa di una delegazione (dicembre 1925), per annientare gli ultimi punti di sostegno di Zinoviev, e vi era rimasto da padrone.

Pur essendo fra i più fedeli collaboratori di Stalin, in qualche occasione sarebbe stato capace di resistergli, se è vero che nel 1931 si oppose all'esecuzione sommaria di Riutin, autore di una piattaforma ostile sia alla politica che alla persona di Stalin (vedi Krivitsky, Agent de Staline, pp. 218-19). Tuttavia, al XVII Congresso (gennaio-febbraio 1934) Kirov proclama in un discorso che Stalin deve essere riconosciuto "il più grande uomo di tutti i tempi e di tutte le epoche" (Pravda, 2 febbraio 1934); membro effettivo dell'Ufficio politico a datare dal 1930, è can Zdanov e L. Kaganovic tra i quattro membri della segreteria, in cui Stalin regna da solo. Il 1. dicembre 1934 Kirov viene abbattuto da una revolverata sparata nel suo ufficio da Nikolaiev, giovane membro della polizia politica e in attivo legame con un gruppo di giovani comunisti malcontenti della situazione che si è creata nel partito e nel paese.

(28) Non sembra che E. Enukidze, firmatario delle istruzioni del dicembre 1934 come segretario del Comitato centrale esecutivo, posto che occupava dal 1922, abbia avuto una parte importante nella loro preparazione. Bolscevico della prima ora, fra i più anziani (è nato nel 1877), non prese parte attivamente alla lotta dei clans, ma Stalin lo "esonera dalle sue funzioni" nei primi mesi del 1935, mandandolo come presidente dell'Esecutivo dei soviet nella Transcaucasia. "Per gli osservatori avvertiti nessun dubbio: Enukidze è perduto, la sua pseudo-liberazione precede la disgrazia; passando dal posto di segretario a Mosca al titolo di presidente a Tiflis, prende la strada del cimitero. In realtà tre mesi più tardi sarà destituito per degenerazione, rilassamento di costumi, condotta troppo debole; alcuni giorni dopo è espulso dal partito, cioè consegnato alla Ghepeù". (B. Souvarine, Staline, p. 553).

L'accusa di corruzione portata contro di lui non pareva avere alcun fondamento; si susurrava però che egli mandasse dei pacchi al nipote, Lado Enukidze, giovane trotskista imprigionato da anni. Stalin non si sbarazza mai di una vittima senza infangarla e senza trarre dall'operazione il maggior profitto possibile: "Nelle grandi assemblee del partito, gli oratori del Comitato centrale, non indietreggiando dinanzi a nessuna enormità, affermano che la complicità di Enukidze nell'assassinio di Kirov è dimostrata... E questo dramma di palazzo serve nella propaganda all'estero a mostrare come il regime combatte contro la corruzione burocratica!" (V. Serge, Destin d'une Révolution, p. 231). La sentenza sull'"affare Enukidze", pubblicata il 20 dicembre 1937, e colla quale fu condannato tutto "un gruppo di traditori", fra cui Karakan, ha scoperto che "Enukidze, quantunque espulso dal partito, non era stato completamente smascherato; egli stava preparando atti terroristici e s'era macchiato di tradimento in stretto legame con lo Stato Maggiore di uno stato fascista (Correspondance Internationale, ed. francese, 1937, p. 1347).

(29) Krusciov insiste sul carattere "misterioso" dell'assassinio di Kirov, e sembra lasciare la porta aperta all'ipotesi che Kirov sia stato ucciso con la complicità della polizia di Lenin grado, se non dello stesso Stalin. D'altra parte alcuni scrittori di opposizione non sono lontani dal pensare che Stalin avrebbe ordinato o tollerato l'assassinio di Kirov, per avere il pretesto di scatenare i massacri che meditava. È vero che si dà a prestito solo ai ricchi, ma è probabile (secondo la tesi di Trotsky, che fu anche quella di Boris Souvarine) che Stalin abbia obbedito soprattutto, a un moto d'inquietudine per l'ostilità dell'opinione pubblica verso di lui e verso il regime, ostilità che era stata rivelata dall'inchiesta condotta a Leningrado, e che veniva ad aggravare una situazione resa già critica dalla crisi agricola e dalla carestia degli ultimi anni. Questa inquietudine si tradusse in una offensiva feroce contro le opposizioni e contro la popolazione tutta (vedi L. Trotsky, La rivoluzione tradita, Milano, 1956, p. 235, L. Sédov, Livre rouge sur le procès de Moscou, Parigi, 1936, p. 22 e seg. e anche l'opuscolo di Trotsky, La bureaucratie Stalinienne et l'assassinat de Kirov, Parigi, 1935; B. Souvarine, Op. cit., pp. 543-549). Ciò non ha nulla a vedere con l'ipotesi di I. Deutscher, il quale - sempre uguale a se stesso - ha lasciato capire che l'assassinio di Kirov avrebbe interrotto una politica "quasi liberale" che Stalin era sul punto di attuare. (Stalin, Milano, 1949, p. 455). E lasciamo da parte anche l'ipotesi del delitto passionale, secondo la quale Nikolaiev avrebbe ucciso in casa sua Kirov sorpreso a letto con sua moglie (A. Ouralov, Staline au pouvoir, Parigi, 1951, pp. 16-18). Ciò che viene in primo piano è la reazione di Stalin e di quasi tutti i dirigenti comunisti di fronte all'affare Kirov: questo fu il segnale di una caccia spietata che durò almeno quattro anni nella sua forma più violenta, senza mai cessare del tutto neppure dopo. Ad essa hanno partecipato nel loro insieme il partito, la polizia, lo stato, con tutti i loro organi, in una parola il regime. L'opposizione già fortemente indebolita fu stroncata. La Grande Enciclopedia sovietica ricollega questa offensiva all' "affare Kirov", il quale - dice - sarebbe stato "ucciso da un degenerato trotskista, agente dei servizi d'informazione imperialisti, membro di un gruppo clandestino controrivoluzionario zinovievista, agli ordini diretti dei nemici giurali del popolo, Trotsky, Zinoviev e Kamenev". In questa prosa, che è lo stile del regime, vi sono tante menzogne quante parole.

Non appena la notizia dell'assassinio arriva a Mosca, si arrestano i giovani comunisti amici di Nikolaiev, 14 dei quali verranno giustiziati alla fine del mese, dopo una istruttoria segreta di cui nulla è trapelato; i capi della Ghepeù di Leningrado vengono destituiti e arrestati, e quindi deportati a Kolima, dove occuperanno posti importanti nell'amministrazione del campo; ma ricondotti a Leningrado saranno tutti, salvo uno, giustiziati nel 1937. Tra il 5 e l'11 dicembre 1934, 103 persone del vecchio regime saranno fucilate, senza che tra loro e l'affare Kirov esista alcun legame. Il gruppo' degli "zinovievisti" fu particolarmente provato: 16 ex esponenti, tra i quali Zinoviev e Kamenev, vengono arrestati il 16 dicembre e condannati alla deportazione, "non essendo stata provata - dice un comunicato - la loro complicità nell'attentato". Il 18 febbraio Zinoviev, Kamenev e i loro amici vengono di nuovo giudicati e condannati a pene varianti tra i cinque e i dieci anni di reclusione; qualche mese dopo, un nuovo processo ha luogo a porte chiuse contro Kamenev; comunisti delle due opposizioni di sinistra vengono colpiti a centinaia; a Leningrado si scatena la grande epurazione contro la popolazione, nel corso della quale 100.000 persone sono deportate nell'Asia centrale. Ma soprattutto contro i comunisti infieriscono due epurazioni successive (1935-1936), proprio quando quella del 1934 è appena finita. Un membro del partito "epurato" perde ogni cosa, il lavoro e il diritta di cercarne, l'alloggio; le conseguenze colpiscono anche la famiglia, moglie e figli. Ciascuna delle epurazioni arriva a circa 300.000 espulsioni, cioè in un anno a circa un milione, un terzo degli effettivi del partito, valutati circa 3 milioni nel 1934". (B. SOUVARINE, Staline, p. 551). Nel corso dell'anno 1935 le epurazioni sono "pianificate" sull'insieme della popolazione e viene fissata per ogni categoria sociale una percentuale di persone che devono essere "liquidate", percentuale che va dal 3 al 5% e la supera per alcune particolari categorie. Mentre la bufera si abbatte su centinaia di migliaia e ben presto su milioni di persone, alcuni mesi dopo l'inizio della serie dei grandi processi (vedi n. 23 [nota]), Stalin fa approvare all'unanimità, nel dicembre 1935, la costituzione "più democratica del mondo". Il documento, al quale hanno collaborato gli stessi Bukharin e Radek, garantisce "la libertà di parola, di stampa, di riunione e di assemblea, di cortei e dimostrazioni di piazza" (art. 125), "l'inviolabilità della persona" (art. 127), "l'inviolabilità del domicilio" (art. 128) (vedi La Nouvelle Constitution de l'U.R.S.S. précédée du rapport de Staline, Parigi, Bureau d'Editions, 1937). Non solo questi "diritti" sono atrocemente violati nel periodo della "grande purga" (1935-1938), ma in realtà non saranno mai rispettati neppure in seguito: ancora oggi la "distensione" non arriva fino al punto di tollerarli per i cittadini sovietici.

(30) Enrico J. Iagoda, entrato nel partito prima della rivoluzione, si fece conoscere nel periodo in cui infieriva il terrore come "cekista" crudele e senza scrupoli, e grazie a questo fatta fece una carriera rapidissima. Conosciuto e apprezzato da Stalin, divenne uno dei due aiutanti di Menginsky (il successore di Dzerginski alla direzione della Ceka, divenuta Ghepeù). Iagoda arrivò a sbarazzarsi nel 1929 del collega Trilisser, accusandolo di "trotskismo"; nel 1930 era divenuto il capo unico della polizia politica e lavorava in contatto diretto con Stalin. Alla morte di Menginsky (1934) fu messo alla direzione della N.K.V.D. e da quel momento divenne l'uomo indispensabile per le epurazioni e i massacri che Stalin esigeva. Diresse la "grande purga" nel suo primo periodo, quello che seguì alla morte di Kirov; sviluppò l'organizzazione economica della Ghepeù, che stava diventando la più grande impresa industriale e di lavori pubblici dell'U.R.S.S.; estese enormemente i servizi di spionaggio e provocazione all'estero; si incaricò della costruzione del canale Mar Bianco-Baltico, grazie a squadre di guardiaciurme che regnavano su 200.000 schiavi, che in gran parte vi lasciarono la vita. Tutti questi "meriti" non valsero a salvarlo. Il suo commissariato durò appena poco più di due anni. Gaudente e intrigante, feroce e cortigiano, sperava di sopravvivere alle tempeste della sua epoca e questa speranza di vivere, sia pure dietro le sbarre di una prigione, si intravvede perfino nella sua ultima dichiarazione al processo del marzo 1938 (vedi Procès du "bloc des droitiers et trotskistes", ecc., pp. 832-36). Il 27 settembre 1936, appena un mese dopo la fine del primo grande processo di "epurazione", Iagoda veniva estromesso dal suo commissariato e, secondo il sistema abituale, trasferito in aspettativa al Commissariato delle Poste e Telegrafi, dove rimpiazzò Rykov, che sarà condannato a morte con lui. Sei mesi dopo il primo annuncio della sua caduta in disgrazia, il 3 aprile 1937, le Izvestia pubblicano in prima pagina una decisione del Presidium del Comitato centrale che apre "l'istruttoria dell'affare Iagoda". Il processo, quello dei "ventuno" in cui compare a fianco di Bukharin, Rykov, Rakovsky, ecc., si chiude il 13 marzo e il 15 Iagoda viene fucilato.

Le accuse contro Iagoda sono analoghe a quelle formulate contro gli altri detenuti: complotti e spionaggio al servizio della Germania e del Giappone per smembrare l'U.R.S.S. e ristabilirvi il capitalismo ecc. Altre accuse, dirette specificatamente contro di lui, furono quelle di malversazione nell'impiego dei fondi del suo commissariato e su questo punto v'era certamente una parte di verità. Iagoda si serviva di somme enormi e dei beni di cui disponeva anche per crearsi una rete di complicità e assicurarsi tolleranze, di cui molti dirigenti sovietici approfittavano. Ma fu accusato soprattutto di aver organizzato l'assassinio "medico" del suo predecessore Menginsky, di Kuibychev, di Massimo Gorki e di suo figlio Peskov; di avere collaborato all'assassinio di Kirov e infine di aver preparato l'avvelenamento di Stalin e quello di N. Iezov (quest'ultimo gli succedette nella carica). Questa elencazione di crimini ha qualcosa di delirante, e nessun elemento di prova risulta dagli atti del processo, né da alcuna altra testimonianza attendibile. Tre motivi hanno determinato la caduta di Iagoda; il primo ci riconduce a Stalin, ed è stato esposto da un alto funzionario che seguì l'avvenimento sul posto e molto da vicino: "Stalin aveva conservato il potere dal 1933 al 1936 in gran parte perché Iagoda e i suoi agenti segreti avevano lavorato in pieno accordo con lui per sopprimere i bolscevichi della vecchia guardia. Ma poiché Iagoda conosceva troppo bene i metodi e i drammi del potere, Stalin decise di cambiare gli esecutori a metà corsa (W. Krivitsky, Op. cit., p. 176). Un'altra ragione sembra essere stata la diffidenza verso Iagoda, che il servizio di polizia dell'esercito riuscì a insinuare nell'animo di Stalin; e la terza fu l'azione personale del suo concorrente, N. Iezov, che mirava a sbarazzarsi di lui.

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